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Marco Paolini: “Non è più tempo di monologhi. Bisogna fare rete”

di Egle Santolini

Nel suo nuovo lavoro «Darwin Nevada» anche il teatro si evolve. «In un momento di grande divisione può tenere insieme le persone»

“Il cambiamento climatico non pettina le bambole, non perde tempo.

E adesso non è più il momento di star da soli: bisogna fare rete».

Un presidente che non crede al cambiamento climatico s'insedia alla Casa Bianca e intanto, a Milano, Marco Paolini ragiona su scienza, negazionismi e quel gentiluomo britannico che 166 anni fa scrisse un libro, L'origine delle specie «nelle intenzioni dell'autore divulgativo, ma anche portatore di una sfida radicale all'establishment: e che scatenò una rivoluzione scientifica paragonabile a quella di Copernico». Proprio Darwin, Nevada s'intitola il suo nuovo lavoro (fino al 16 febbraio allo Strehler, in coproduzione con Stabile di Bolzano ed Emilia Romagna Teatro):

dove Darwin è, insieme, Charles, un luogo sperduto negli Stati Uniti di oggi e il soprannome di uno dei quattro personaggi: “Uno sceriffo, due donne forestiere, un’altra donna che è una specie di Penelope. Più un quinto personaggio, che è morto, ma fa da trait d’union fra tutti gli altri”. C’entrano pure le farfalle di una specie migrante, la Monarca. Nel ruolo di narratore Paolini stesso, l’oratore civile di Vajont, dei Bestiari, del Milione, di Ausmerzen, uscito dalla propria comfort zone di un teatro individuale e monologante.

Come e quando è nato questo progetto?

“La voglia di raccontare Darwin mi è venuta con la Brexit, quando ho cominciato ad aver paura che ci portassero via anche lui, questa eredità europea condivisa. Il periodo che m’interessava di più erano poi i vent’anni dal viaggio sul Beagle alla stesura del libro, insomma dal ragazzo al Darwin con la barba che tutti abbiamo in mente. Volevo raccontare un uomo che cova un’idea difficile.”

E l’impresa si è realizzata adesso, in collaborazione con un gruppo molto speciale.

“Matthew Lenton, regista scozzese lavora con i corpi, gli oggetti, le situazioni, e ci ha messo una gran concretezza molto pop: era quello che serviva al progetto, per far reagire la teoria con un mondo normale, contemporaneo. Abbiamo un approccio molto diverso, Matthew ha visto i miei lavori e mi ha convinto: si poteva fare. Insieme stiamo collaborando bene. Con noi Niles Eldredge, un importante paleontologo, e James Moore, che di Darwin è il biografo più autorevole. E Telmo Pievani, e il comitato scientifico di La fabbrica del Mondo. In scena con me ci sono Clara Bortolotti, Cecilia Fabris, Stefano Moretti, Stella Piccioni.”

Perché la scienza continua a far paura?

“Dà fastidio la sua ingerenza nella quiete apparente del mondo: credere a Babbo Natale è molto consolante anche quando siamo adulti, e non ci piace che qualcuno ci dica che non esiste. La scienza non è infallibile, ma proprio per questo è affidabile. È muta, ma si basa su una prassi consolidata, fatta di controlli incrociati. Certo esistono contraddizioni, per esempio la spinosa questione dei brevetti, e sappiamo che molti progressi scientifici sarebbero impossibili senza i finanziamenti dell’industria bellica. Se uno vuol dormire tranquillo deve accontentarsi di dormire per terra.”

Come ci parla, oggi, quel gentiluomo vittoriano?

“Si attira parecchie critiche di suprematismo perché era un maschio bianco ottocentesco, figlio dell'età del colonialismo: e pensare che era fieramente antischiavista. Oltre che un uomo coraggioso, che quando si è convinto delle proprie deduzioni le ha espresse forte e chiaro, anche se era consapevole di suscitare un pandemonio. Nell' Origine delle specie ci sono concetti straordinariamente moderni, come quello di sostenibilità, o l'intuizione di quanto il clima possa influenzare le dinamiche delle popolazioni e le loro migrazioni. E poi, le pare un caso che il nuovo governo siriano abbia subito tranquillizzato il clero, mettendo Darwin al bando?”

Ma affermare la prevalenza del più forte sul più debole può creare qualche inquietudine anche al nostro mondo politicamente corretto.

“Attenzione: lui parla di "più adatto", non di "più forte", un concetto che aveva ereditato da Herbert Spencer. Negli anni Darwin è stato sottoposto a moltissimi fraintendimenti. E io me lo sono studiato bene. Non pretendo di essere un esegeta, viaggio soprattutto a istinto e a simpatia, e adesso che sono arrivato al debutto, all'ultimo miglio, vorrei avere ancora un mese davanti, per approfondire ulteriormente.”

Che cosa ha voluto dire, per lei, uscire dalla solitudine sul palcoscenico e entrare in una dimensione più ampia?

“È un processo iniziato con i VajontS con la S finale del 2023, la trasformazione dal testo di 32 anni fa in un progetto collettivo, corale. Oggi la dimensione individuale non basta più per chi fa il nostro mestiere: in un momento di enorme divisione politica e di urgenza assoluta l'arte può tenere insieme le persone e incidere concretamente sul presente. Attorno al mio spettacolo Mar de Molada, per esempio, si è creata in Veneto una rete di scopo, l'Atlante delle Rive, formata non soltanto dai teatri ma da Arpa, autorità di bacino, protezione civile, che coinvolgendo il pubblico sta intervenendo direttamente sulla ricarica della falda acquifera.”

Suo figlio Giacomo di nove anni vedrà "Darwin"? Oppure è troppo piccolo?

“Sarà difficile tenerlo lontano dal palcoscenico perché vuole vedere tutto e di tutto. E visto che mia moglie fa il mio stesso mestiere, Giacomo sta crescendo nei teatri. Fra gli spettacoli per ragazzi, che per fortuna in Italia sono di ottimo livello, ma anche fra gli spettacoli per i grandi.”

https://www.lastampa.it/spettacoli/2025/01/20/news/marco_paolini_fare_rete-14949226/?ref=LSHA-P8-S5-T1

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