Pubblicato il 18 Gennaio 2024
Andrea Frambrosi - L'Eco di Bergamo
di Andrea Frambrosi
Ha riscosso un grande successo di pubblico la prima dello spettacolo «Boomers» di e con Marco Paolini e Patrizia Laquidara, andato in scena al Donizetti martedì scorso perla Stagione di Prosa della Fondazione Teatro Donizetti. Sul palco anche i musicisti Luca Chiari, Stefano Dallaporta e Lorenzo Manfredini. Uno spettacolo quasi in bianco e nero che ripercorre, in modo meravigliosamente caotico, gli ultimi cinquant'anni di storia italiana. Una forsennata cavalcata tra memoria e nostalgia, tra passato e futuro, tra un qui e ora e un altrove che ognuno porta dentro sé stesso (in calendario al Donizetti fino a domenica).
Ne abbiamo parlato con l'attore veneto Marco Paolini.
Paolini, possiamo dire spettacolo strepitoso?
«Grazie».
È andata molto bene la prima.
«Beh, sì. Lo senti che si raggiunge una temperatura».
Questo «Boomers» è, e allo stesso tempo non è, uno spettacolo sulla memoria. Quindi che cos'è?
«Non voglio essere complice, non voglio semplicemente rievocare ammiccando, strizzando l'occhio. Ero onesto quando ho cominciato a fare gli "Album" ma era più di trent'anni fa e mi rivolgevo a una generazione di coetanei, a qualcuno più vecchio che quelle cose le aveva viste e a gente più giovane che quelle cose le sapeva, quindi il cosiddetto contesto era condiviso e poi la storia era fresca, i nomi dei partiti politici, dei personaggi... Adesso non è più così. Se volessi rispettare la cronologia delle cose, la dinamica causale, fare sociologia o storia, dovrei mettere le date come si fa a scuola ma nella percezione che abbiamo adesso conta soltanto ciò che ha un peso specifico in un dato momento. Raccontiamo che le nuove generazioni vivranno in un mondo virtuale, in una realtà aumentata, ma chi vive nel rifiuto di questo tempo presente, a suo modo, sta anche lui proiettandosi in una realtà aumentata, virtuale.
Quindi non bisogna farsi schiacciare dal peso della memoria altrimenti poi giustifichi le nostalgie, i sovranisti, i populisti, i negazionisti. E comunque tra il fare una predica e fare un gioco ho preferito il gioco».
Anche perché, appunto, in teatro non siamo scuola dove si devono imparare le date e questo frullato, questo spettacolo che è stato definito un «Frankenstein», a noi è sembrato però un «Frankenstein Junior».
«Questo non lo sapevo, ma mi va benissimo, viva Mel Brooks, sempre».
Comunque il pubblico si diverte anche se non è proprio uno spettacolo comico in senso stretto.
«Si diverte sì, lo sentiamo, si perde anche, però ti aspetta e io lo sento questo investimento di fiducia».
Ed è anche bello giocare, per chi ha una certa età, ad indovinare le canzoni, le sigle televisive, i jingle pubblicitari che vengono evocati.
«L'altra sera c'era in teatro un amico che ha tre figli trai 13 e i 18 anni e i figli giocavano tra di loro per dire "questa la so", perché in qualche maniera l'avevano pescata chissà dove, l'avevano riconosciuta chissà come e dove, forse ripescate attraverso la rete».
A proposito di ripescaggio torniamo allo spettacolo dove dice che quando fa memoria tira su con la rete dei frammenti, delle schegge.
«Quando Enrico Ghezzi ha inventato "Blob" aveva a disposizione gli archivi della Rai e applicava all'infotainment la stessa logica della pubblicità e a noi questo sembrava liberatorio. Noi sappiamo che un linguaggio così, fatto di schegge, in realtà, è un linguaggio che non narra, descrive, perché in qualche maniera rinuncia alla narrazione perché non ha più senso niente. Nel teatro, nella drammaturgia, cerco di mettere in ordine l'arco narrativo e di dare un senso in maniera responsabile. In "Boomers" ci ho provato ugualmente perché alla fine ti rendi conto di aver raccontato cinquant'anni di storia italiana dove il crollo di un ponte non è soltanto una metafora ma è quel ponte tra generazioni che non c'è più».
Nello spettacolo hanno una grandissima importanza le canzoni e la musica.
«Ho degli splendidi musicisti, la nostra non è una band qualsiasi ma un organico costruito ad hoc. Patrizia Laquidara ha creato delle canzoni originali così che le potenzialità della musica sono entrate via via nella drammaturgia e come lavoro io sul testo, loro hanno lavorato sulla musica».
Certo perché non sono soltanto musicisti, ma proprio interpreti dello spettacolo.
«Sì, si vede perché partecipano ai cori, rispondono quando chiedo presenza. Siamo tutti in questo luogo immaginario che è il bar della Jole».
Sta lavorando a qualcosa di nuovo?
«Sempre. Adesso il focus è sul progetto della Fabbrica del Mondo, che ha prodotto il "Vajont". C'è un progetto con il Piccolo Teatro per il 2025 su Darwin e in cantiere altre cose... Ho ripreso lo spettacolo "Sani", il focus è sempre su come stiamo cambiando e come accettiamo questo cambiamento, soprattutto dopo il Covid».
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